Mitologia del volo tra forma e colore
Nel titolo il senso di questa mostra. Quattro parole che spiegano i motivi di una scelta e ci accompagnano in un viaggio unico: MITOLOGIA, come racconto e rappresentazione di quegli elementi che definiscono una identità fin dalle sue origini. VOLO, è il tema di questa mostra.
Tra forma e colore perché sono queste le due forme espressive che lo interpretano: FORMA, plastica della scultura di Achille e COLORE, della pittura di Michele.
Il tema del VOLO è da sempre un tema affascinante e infinitamente rappresentato, da una parte come possibilità di librarsi come un uccello, come immagine delle ambizioni smisurate dello spirito, nevrosi che diventa megalomania; dall’altra come caduta nel vuoto che diventa angoscia per l’incapacità di soddisfare questo desiderio.
Ma comunque il volo esprime un desiderio di sublimazione, la ricerca di un’armonia interiore, di un superamento dei conflitti e sono questi i sentimenti all’origine delle scelte di questi due artisti che con due personalissime visioni ci raccontano ciascuno il proprio mondo.
L’inedito dialogo tra pittura e scultura che questa mostra propone, ricalca il confronto muto che nasce tra i due artisti posti qui, come in uno specchio, l’uno di fronte all’altro padre e figlio, due generazioni a confronto, due linguaggi differenti alla ricerca di un’eco comune nel suggestivo tema del volo.
Due sguardi, due anime diverse ma complementari, che attraverso strumenti espressivi differenti, materia e colore, scultura e pittura scoprono, con la stessa intensità e passione, un punto se non di incontro, sicuramente di “incrocio”.
È l’incrocio di due movimenti uguali e opposti nel loro percorso, potenti traiettorie antitetiche ma che alla fine convergono nella ricerca dello stesso respiro e della stessa luce, che ci svela infine l’universo figurativo di entrambi, filtrato attraverso la loro personalissima interpretazione, tanto lirica e sublime per Achille, quanto malinconica e visionaria per Michele.
Achille
Materia e forma, pieni e vuoti, slanci e vibrazioni in una visione concettuale e lieve di figure aeree che vincono la forza di gravità e il peso dei volumi alla conquista della luce e degli spazi aperti.
È questa la cifra stilistica maturata da Achille nei lunghi anni di ricerca e sperimentazione che partono dall’eredità paterna di Talete scultore, passano per gli insegnamenti di grandi maestri come Carlo Scarpa, si nutrono dell’esperienza di vita in Africa, e poi della sua professione di architetto e di insegnante e della sua passione per l’archeologia, fino a perdere ogni connotato figurativo in composizioni ricreate attraverso moduli, geometrie, stilizzazioni, che pur non negando le forme, le traducono in elegante equilibrio e pura poesia.
La maternità, il volo, la danza, le vele, e ancora sogno, risveglio, metamorfosi, attesa, sono i suoi temi ricorrenti.
Disegno, xilografia, litografia, incisione sono le tecniche che traducono le sue idee.
Creta, gesso, legno, bronzo, travertino, marmo, i materiali che danno sostanza ai suoi sogni.
L’azione del tempo scandisce gli effetti della metamorfosi che trasforma la gravità della materia, nelle sue solide e archetipiche forme, in volo libero e vitale.
La materia è ancora legata alla terra che la genera ma non più da essa imprigionata perché libera di muoversi secondo una potente dialettica fatta di pieni e vuoti, incavi e convessi, positivi e negativi che creano sequenze dinamiche e ritmiche esaltate dai giochi di luci e ombre. Il tutto appare lieve e mosso da un moto ascensionale che offre in tal modo, molteplici punti di vista.
I corpi danzanti come note in una melodia, hanno un’energia centrifuga che conquista lo spazio per liberarsi nell’aria senza paura dell’ignoto e del caos, anzi governandolo, in una fluida continuità di armoniose ed eleganti linee curve che diventano per Achille, la sua grammatica espressiva e il suo canto più bello.
Michele
Se in Achille il peso della materia si stempera nello spazio e si fa volo e leggerezza, in Michele tela, colore e luce diventano strumenti per invertire la direzione in un volo di caduta verso il basso, verso cupe atmosfere che danno peso e gravità ad ogni sua figura, architettura, paesaggio.
Dagli studi artistici alla laurea in Accademia a Venezia, dalle prime esposizioni di pittura alle serate di lettura di testi poetici fra Treviso, Venezia e Bologna fino al fondamentale trasferimento a Berlino nel 2000. Il percorso umano e artistico di Michele affonda le sue radici nell’eredità di una importante vocazione familiare che poi conquista la sua autonomia linguistica attraverso le mille esperienze e i mille incontri che gli hanno donato nel tempo, quel singolare volto che oggi la sua pittura ci mostra.
È “L’uomo illustrato” di Ray Bradbury, l’uomo ricoperto di tatuaggi che diventano opere d’arte, figure che fissandole si animano e raccontano storie incredibili. Allo stesso modo per Michele le sue opere sono come tatuaggi che prendono vita sulla tela come estensione diretta di se stesso, perché non raccontano storie qualunque ma trascinano chi le guarda nel suo mondo, tanto più inquieto e affascinante, quanto più assomiglia al suo reale vissuto.
E così attraverso queste finestre sulla memoria che sono le sue tele, la sua pittura visionaria, sofferta e pulsante, intercetta e dà libera voce ai suoi tanti stati d’animo in un continuo volo in caduta, ora su scenari urbani avvolti in grigie nebbie e cupi orizzonti che inghiottono persino la luce, ora su ampie visioni fiabesche, sempre sospese tra sogno, gioia e malinconia.
Tra Primitivismo ed Espressionismo, pittura ora liquida ora graffiata, modelli classici che guardano al passato e visioni di un distopico e apocalittico futuro, porta in scena i suoi incubi e le sue paure:
il senso del perdersi in mitologici labirinti e l’alienante silenzio delle carceri piranesiane, la verticalità spettrale delle architetture e gli inquietanti paesaggi nordici popolati di ombre e demoni. E ancora la discesa vertiginosa agli inferi di angeli dannati, che non è solo conseguenza maledetta di una rovinosa caduta ma anche di una cosciente e volontaria discesa dantesca nei gironi infernali dell’anima. Una sorta di Teseo che perdendosi nel proprio labirinto vuole “scovare” il mostruoso Minotauro non più per sconfiggerlo ma per conoscerlo.
Di contro, l’ironia giocosa dei suoi autoritratti, le atmosfere magiche e dissacranti delle fiabe, le apparizioni oniriche di figure danzanti e cavalieri in sfida e tutti i simboli che punteggiano la sua ricca sintassi visiva.
È questo l’universo emotivo e poetico di Michele, interprete, narratore e attore del suo originale racconto che se pur appare cupo e visionario, brilla sempre all’orizzonte di una luce vivida e pulsante capace di invertire infine il suo percorso di volo.
Quel volo in caduta dunque, intercetta un soffio di speranza e di luce e si libra improvviso verso l’alto, per “incrociare”, qui e ora in questa mostra, lo sguardo paterno in un dolcissimo abbraccio di anime e in una pulsante e intima dimensione di tempo e spazio nuovi, che sono le coordinate stesse del loro straordinario viaggio.
Silvia Del Monaco
Achille
nasce a Verona il 26 dicembre 1935. Si diploma al Liceo artistico di
Venezia nel 1956. Iscritto alla facoltà di Architettura,
allievo di Carlo Scarpa, Franco Albini, Ignazio Gardella, si laurea
nel 1962 con Lodovico Barbiano di Beljoioso relatore. Durante gli
studi lavora nel laboratorio del padre scultore in opere di argilla a
carattere religioso. Nel 1954 partecipa alla sua prima esposizione
presso il Palazzo dei Trecento a Treviso.
Lavora nello studio di architettura di Angelo Tramontini a Treviso
e successivamente prosegue l'attività in proprio. In questo periodo
lavora per circa due anni nel Tchad in una scuola cantiere.
Si dedica alla scultura e approfondisce le sue capacità espressive
attraverso l’uso di vari materiali quali il marmo, le varie essenze
di legno, la terracotta, il vetro e il bronzo. Studia in Toscana le
tecniche dell’affresco.
A Venezia frequenta artisti dell'incisione e insieme a loro fonda l’Atelier
Aperto di Venezia, dove si sperimentano tecniche tradizionali e nuove
della grafica.
Dal 1975 al 2000 dirige il Gruppo Archeologico Trevigiano, che
ha effettuato numerosi ritrovamenti del periodo pre-romano.
Scrive alcune pubblicazioni riguardanti il territorio tra Sile e Piave,
in collaborazione con professori del C.N.R. e dell’Università
di Padova. Negli anni ?90 presenta alla Soprintendenza per i Beni Ambientali
e Architettonici del Veneto Orientale un progetto di restauro della
Porta dei SS. Quaranta di Treviso, che verrà realizzato fra il
95 e il 98.
Riceve numerosi premi, tra cui il 1° Premio Nazionale di Scultura
della rivista «Arte» Mondadori nel 1988, e il 1°Premio
Internazionale di Scultura su legno a Cortina d’Ampezzo nel 1989.
Alcune sue opere monumentali sono il monumento all'Emigrante a
Treviso, il monumento al Partigiano a Paese, "Risveglio" presso
la ditta Cepi di Paese, "Grande Danza" presso la ditta Taffarello
di Carbonera e "Santa Reparata a Buddusò.
Opere di grafica sono in permanenza nel Gabinetto Stampe Antiche e Moderne
di Bagnacavallo, nel Museo della Xilografia di Carpi e nella Galleria
“Venezia viva” di Venezia.
Per diversi anni lavora il marmo in uno studio di Pietrasanta (Versilia)
dove, nel 2013, espone le proprie opere.
Nato
nel 1970 a Castelfranco Veneto, diplomato nel 1993 all'Accademia di
Belle Arti di Venezia, si trasferisce a Berlino
nel 2000. Ha effettuato lavori di restauro, realizzato copie d'autore
(da Canaletto, Guardi, Ricci) e cortometraggi d'arte, scritto e illustrato
fiabe per bambini, recitato per il cinema e il teatro. Espone sistematicamente
dal 1994. Tra le esposizioni:
Le sue opere sono regolarmente esposte nella galleria Igel a Berlino
di cui è un assiduo collaboratore
.......L’artista
trevigiano nel 2000 si è trasferito nella capitale tedesca, e
nei lavori riuniti in mostra restituisce le atmosfere di quella città
attraverso visioni rarefatte, a volte sognanti e fiabesche, altre volte
pervase da uno spleen malinconico. Nei suoi dipinti risaltano le forme
solitarie e spettrali degli edifici, in scorci isolati dal contesto,
oppure distese brulicanti di architetture, che celebrano l’ampiezza
e l’impersonalità del paesaggio metropolitano. La sapienza
di una pittura consapevole dei propri mezzi immerge i volumi architettonici
negli umori inquieti e vagamente bizzarri di un disagio appena soffocato.
la luce nordica avvolge le scene in una tonalità opaca, che più
che presentarsi come dato naturalistico si trova ad esprimere uno stato
d’animo.